genius loci
C’è uno spirito che vive in alcuni luoghi, ed in alcuni luoghi soltanto.
Credo che quello spirito sia un’estensione di noi esseri viventi, qualcosa di noi che lasciamo; una traccia, avvertita da chi arriva dopo, il quale a sua volta lascerà un po’ di sé.
È uno stratificare di vibrazioni, che permangono ed entrano in armonia tra loro e con il contesto in cui sono state lasciate.
E così quel luogo si alimenterà nel tempo di emozioni, fino a divenire unico, meritevole di un segno profondo: la storia è piena di fontane, obelischi, statue, fino ai nostri murales e chissà cos’altro!
Le vibrazioni nel tempo si trasformano in ricordi, che rielaborati e tramandati arrivano alle nuove generazioni.
Queste imparano a sentirle fino a farle proprie.
I luoghi allora vengono di nuovo ornati e tramandati.
E così nei secoli …
Poi un giorno arriva un cataclisma e spazza via il luogo fisico.
Le vibrazioni restano orfane, vagano, si scollano e frantumano, perdono la loro armonia: è il caos.
Difficile ricomporle. Non c’è più nulla cui ancorarsi. I ricordi divengono dolorosi e si spostano su armoniche difficili da tramandare.
Arrivano poi nuovi esseri viventi, puri e liberi si muovono in cerca di luoghi in cui lasciare le loro vibrazioni.
Intorno c’è un rumore di fondo, echi di storie lontane, nulla è più tangibile e il loro sguardo è rivolto in avanti.
Il cataclisma ha azzerato la materia, le piccole vibrazioni appena nate trovano nuovi solchi dove piantare le loro piccole radici.
Si assiste così alla nascita spontanea in un nuovo altrove, di un nuovo “genius loci”.
Dedico questo pensiero ai ragazzi di “Quatrani” protagonisti del progetto fotografico di Danilo Garcia di Meo, ragazzi cresciuti dopo il sisma de L’Aquila del 2009.
Ho ascoltato il loro video, proiettato in occasione della mostra presso Utopia Aps di Rieti.
Come architetto sono rimasta colpita dai loro dialoghi e dal modo in cui si rapportavano al luogo. Ho trascorso mesi pensando a loro. Questo il modo più semplice che ho trovato per esprimere ciò che mi hanno suscitato.
“Dicono che L’Aquila era bella, ma come faccio io ad immaginarmela?” … tra le frasi più toccanti.
Per quanto venissero trasmessi loro i ricordi de L’Aquila, loro quella città non l’hanno mai vissuta. Foto, libri, tante testimonianze ma non c’era più corpo, le vibrazioni erano disperse.
Gli architetti sono istruiti per creare luoghi, eppure tanti di questi che sulla carta funzionano per geometria, colori, materiali, tramutati in materia sono privi di anima. Questo perché come astronavi calano dal nulla sui luoghi, privi di vibrazioni. Quando l’opera dell’architetto si nutre solo del suo ego, presto esaurirà la sua bellezza e il luogo resterà vuoto, destinato ad anime dannate o peggio ancora all’oblio.
Se invece l’opera dell’architetto ha saputo cogliere gli echi del sito, allora le vecchie vibrazioni torneranno a popolare il nuovo luogo e ne chiameranno altre.
Non voglio mitizzare l’azione e la sensibilità di questi ragazzi, che nel niente che avevano intorno, hanno saputo cogliere e creare dei luoghi nuovi, dove ritrovarsi, dove essere giovani e crescere.
Non voglio neanche demonizzare chi ha impiantato architetture nord europee nei contesti medievali del cratere.
Ma penso che il “com’era, dov’era” debba essere superato dall’ascolto dei territori e delle persone.
Perché la necessità di poter tornare a vivere, di poter tornare a casa, cozza con le richieste della soprintendenza sull’uso o no di certi intonaci, cozza con l’applicazione pedissequa di regole rispolverate per l’occasione.
Le vibrazioni orfane dovrebbero poter ritrovare al più presto ciò che hanno perso, prima che si disperdano e non ne resti memoria.
Già perché i bimbi crescono e la città che c’era non la conosceranno mai, perderanno interesse e se ne andranno in cerca di altri luoghi dove mettere radici.
Chissà quante Ercolano ci sono sotto le nostre città.
Dedico questo pensiero a tutti i Quatrani e alle loro famiglie
Alla forza che hanno avuto i secondi nel restare, alla capacità dei primi di guardare con occhi nuovi ciò che era rimasto.
Spero che nonostante i tanti anni trascorsi, non si siano perse le vibrazioni tra una generazione e l’altra.
È difficile parlare con amore di un luogo che è stato distrutto all’improvviso, è un lutto che deve essere elaborato anche da chi in fondo vorrebbe solo una piazza con la gelateria, o la panchina sotto l’albero, una giostra con il vialetto, la chiesa per la prima comunione
Gli architetti ci provano a creare spazzi, ma il vero senso ai luoghi lo danno solo le persone.
Auguro alle nuove generazioni di avere la forza di amare un luogo che non conoscono.
Di trattenere nelle loro mani l’amore raccolto in giro, di saperlo custodire e di liberarlo quando quel luogo sarà ricreato.
Solo così il ricordo tornerà a vibrare.
È uno sforzo grande, ma è l’unico modo per far vivere lo Spirito del luogo.
“La città l’abbiamo scoperta scavalcando transenne, per scoprire quello che non ricordavi o non sapevi”