la forza del fil di ferro
Non potevo andar via da Palazzo Collicola, senza un cimelio, una cartolina … un libro. Sarà una forma di affezione che mi porto dietro.
L’indecisione era tra Calder e Burri: il primo un testo alla scoperta dell’artista, il secondo qualcuno che raccontava la sua amicizia con l’artista. La ragazza del bookshop ha scelto per me. Calder mi incuriosiva da tempo ma non lo avevo mai approfondito, era arrivato il momento.
Leggere “libri fuori moda” potrebbe essere una mia rubrica, non credo che smetterò mai di farlo perché sono i testi che mi hanno regalato di più a livello umano. Così “Alexander Calder – la scoperta della felicità” di Alessandro Zaccuri, mi ha fatto immergere nella bellezza del rimanere bambini, nel valore profondo dello studio d’artista, nel credere in ciò che si fa’ non curandosi degli altri, senza però quella forma di esclusione dal mondo mista a rabbia e ribellione, il suo è stato un andare per la propria strada guardando avanti con disinvoltura infantile e serena maturità.
Questo libro, carente di immagini, mi ha portato a cercare le sue opere: ho scoperto gioielli straordinari, fili di ferro fluttuanti e sottilissimi lavorati con le pinze Bernard, sculture statiche a grande scala; ma la scoperta più bella sono stati i video dei suoi cirque … ho trovato un bambino dai capelli bianchi, un folle … ah fossero tutti così i folli!
Scoprire che dietro i suoi equilibri, simili più ad incantesimi che a studi statici, ci fosse una laurea in ingegneria meccanica mi ha stupita, ma al contempo mi ha fornito una chiave di lettura per molta della sua opera. Ho capito che i genitori sono tutti uguali, ieri come oggi ed il mestiere dell’artista non ha mai ripagato più di tanto, quindi piuttosto che una vita difficile e appassionata, lo indirizzarono verso una laurea ripagante (oggi si direbbe “un posto fisso”).
Allontanarsi dalla creatività, so cosa significa: lo sperimentai inizialmente all’università nei periodi in cui mi dedicavo alle materie scientifiche, mesi senza disegnare, arrivavo ad un certo punto, in crisi di astinenza, sentivo un malessere fisico, un senso di spossatezza e irrequietezza. Rinunciai poi alla progettazione tra il 2012 e il 2019, scelsi di dedicarmi solo alla parte amministrativa di questo immenso e complesso mestiere, per inseguire altre forme di stabilità. Matite, fogli lucidi, vecchi disegni, sogni, tutto si disperse!
Quel bisogno fisico di creare, che mi portavo dietro, divenne una brace appena calda sotto la cenere.
Sfogai la mia creatività con il fil di ferro e vecchie riviste; raccoglievo legnetti, vetri e mattonelle consumati dal mare e ne facevo fiori, ciondoli, senza un vero fine: erano i chiodi di una cordata.
Quel fil di ferro aveva tenuto in vita la mia creatività, aggrappata alla roccia!
Chissà Calder, che respirava arte da sempre, cosa poteva sentire nell’allontanamento. Chissà cosa provava quando si allenava con la squadra di football dell’università, senza arrivare mai a giocare una partita, o quando partecipava alle riunioni con la confraternita, chissà se guardava fuori dalla finestra i semi del tiglio cadere e sognava già i suoi mobile.
Eppure senza quegli studi così lontani dall’arte, i suoi meravigliosi mobile e stabile non sarebbero nati, loro che sono creature ingegneristiche elevate a materia espressiva.
Io senza quegli anni di medioevo non avrei fatto esperienze importanti, non avrei scattato le foto del mio libro, non avrei trovato amicizie che ancora oggi fanno parte delle mie giornate.
Dicono che “se qualcosa è destinato a te, nessuno te lo porterà via”, la vita gli farà fare “giri immensi … ma poi ritornano”, come direbbe Venditti.
A volte basta una pinza e del fil di ferro per restare ancorati alla vita.
Calder le pinze Bernard le portava sempre in tasca ed alla vita e all’arte non ha mai rinunciato.