quel cassetto cilestre
Passeggiando per Urbino, in Via Santa Chiara al n. 5, guardate bene, perché una porticina si apre su un mondo antico.
Ma partiamo dal principio.
Ho la strana abitudine, nelle pinacoteche, ricche di Madonne e pale d’altare, di soffermarmi ai margini dei protagonisti, dove paesaggi veri o ideali, raccontano storie di territori, pastori, castelli e umili mestieri. Luoghi che narrano di possedimenti e commerci di ricchi signori. Così ho fatto anche all’interno del museo del Palazzo Ducale di Urbino.
Ad un tratto un piccolissimo contadino attrae la mia attenzione. Lo osservo nel suo mondo fatto di piccole cose, lo fotografo e resta lì, perso nella mia memoria e tra i file, invisibile tra centinaia di opere immense.
Urbino offre decine di negozietti d’arte, dai quali difficilmente riuscivo a sottrarmi, sul finire dello scorso Agosto. Certo non potevo non entrare in quello che già da fuori, si rivelava essere unico, rispetto a tanti altri.
Mai però avrei immaginato di ritrovarmi proprio lì, di fronte a quel piccolo contadino, esposto in una riproduzione in bella vista. Chi come me poteva essersi accorto di lui?
Alessandra, parlava con altri ospiti, sembrava una visita guidata in un luogo immerso nel colore celeste; anche lui, il piccolo contadino trovava posto nel racconto. Mi intrufolo nel gruppo e ascolto anch’io, rapita, la storia di una pianta tintorea: il guado. Scopro aneddoti, il significato e l’uso di parole che hanno da sempre popolato il mio dizionario: celeste, indaco, urina, macine, cuccagna; oggetti e parole che si mescolano ad opere d’arte di Piero della Francesca. Scopro che tutto è parte di un processo di coltivazione e lavorazione della pianta del guado, scomparso 400 anni fa e che in quel luogo tornava a vivere.
Lei non è una guida turistica, è Alessandra Ubaldi che al vostro ingresso vi aprirà le porte non solo del suo laboratorio di tintura “Guado Urbino”, ma soprattutto vi mostrerà le sue creazioni realizzate con il colore “cilestre”, ottenuto appunto dalla pianta del guado, sulle orme di tecniche antiche di coltivazione, estrazione e tintura. Ascoltarla sarà un incanto!
Usciamo tutti e lei chissà perché mi chiede: “Lasciatemi una recensione …”.
“Una Recensione? Silvia – mi dico – puoi fare di meglio, chiamala, chiedile un’intervista per il blog, al massimo dirà di no.”.
Invece arriva un si entusiasta, ed io lo sono ancora di più!
Ci siamo date un appuntamento ed ho scoperto un mondo unico.
Ho capito, prima di ogni altra cosa, che a volte le anime non si incontrano sul piano temporale, per come lo intendiamo noi, ma si aspettano e si trovano, lasciando scintile l’una all’altra, per consentire evoluzioni, per passare testimoni, per infondere coraggio.
Così è stato per Delio e Alessandra. Lei non l’ha mai conosciuto ma i suoi scritti le sono arrivati, insieme alla scintilla che lui le aveva riservato. Delio era scomparso sul finire degli anni ’90, proprio quando lei, sulle pagine de “Il Resto del Carlino” si è imbattuta nei sui scritti sulla storia del guado, è stato in quel momento che ha sentito la folgorazione. Un richiamo messo via, come si fa’ con un sogno riposto in un cassetto.
Una scintilla che dopo anni non si è spenta, ma anzi le ha dato la forza per riaprire quel cassetto e dar vita a quel sogno celeste.
Un uomo Delio, che ha cambiato le sorti di un territorio, ricordato in un museo e da molti, che hanno seguito le sue orme.
Così Alessandra ha aperto la sua attività imprenditoriale e archivi e storie hanno trovato posto e nuova luce, i suoi studi artistici e la sua passione per le piante sono convogliate nella lavorazione del guado: una erbacea antica dalla quale si estraeva il colore celeste prima dell’avvento dell’indaco in Europa, ma di questa storia Alessandra, più di me, è preparata nel racconto.
Io sono la mera testimone di un passaggio di consegne tra anime.
Da un articolo sulle pagine di un giornale alle sue creazioni la storia è lunga e non sempre facile, ma l’amore e la dedizione non sono mancati, il resto è realtà oggi. Accessori perfetti per un dono prezioso si tingono di “cilestre” e di storia, perché certo un regalo che può essere raccontato oltre che vissuto, ha un valore che va più in là della materia.
Dall’incontro con lei il mio modo di guardare le opere d’arte è cambiato. Noto i colori delle vesti nei dipinti e quel particolare tono di azzurro che non vira mai verso colori più intensi: è guado! Mi chiedo se quell’opera che osservo è prima o dopo il 1600, un limite oltre il quale tutto cambia e si perde.
Ho scoperto che i pigmenti pittorici riproducevano colori tintorei, tutti carichi di simbolismi, oggi per noi quasi incomprensibili. Ora anche il ricamo della tovaglia di una tavola apparecchiata per l’ultima cena, assume un valore diverso ai miei occhi.
All’interno del laboratorio di Alessandra non ci sono solo i suoi splendidi oggetti di artigianato, ma trovano posto dettagli di opere d’arte, stampe antiche, foto di macine, piante essiccate, esperimenti di tessuti: la trasposizione di un racconto andato perduto e ritrovato.
Mi ha raccontato così tante cose che non potevo tagliare l’intervista o peggio sintetizzala, così la troverete per intero in allegato a questo articolo.
Spero anche io di avervi trasmesso qualcosa che non può essere dimenticato e merita di essere tramandato e spero anche che andrete a trovarla, per vivere l’esperienza dell’ascolto ed imparare così ad osservare le piccole cose che ci circondano, perché tutte hanno una storia da scoprire e da raccontare.






