un tè con l’artista
Pochi giorni fa tutto è iniziato con un: “Ci sei più tardi? Passo per un saluto.”
Al mio arrivo, tra gli abbracci, sentivo gli occhi scrutare la sala in cerca dei quadri ancora appesi alle pareti, i piccoli faretti a impreziosirli, segni degli ultimi giorni di allestimento.
Preso il necessario per il tè, ci spostiamo al piano superiore, dove la mostra era ancora protagonista e qui, al cospetto delle opere di Burri e Di Nardo, al centro della doppia altezza della stanza, era stato allestito un tavolo per la merenda che avrebbe accompagnato il tè. Emozione e stupore, un mix di sensazioni mi ha pervaso, per la calda e sincera accoglienza.
Il monitor passava le numerose proposte della scorsa estate, che hanno visto all’opera Vanessa e Massimiliano, instancabili e caparbi nel portare avanti tutte le loro iniziative, promosse attraverso il P.I.C. e la Galleria il Portale. Ripensare alle cose fatte, agli ospiti ricevuti, alla partecipazione del pubblico, dilata il tempo e fa’ apparire il tutto durato chissà quanto, invece è stato un istante, il soffio di una stagione.
Gustato il primo sorso di tè e divisi i dolci tra noi, lo sguardo ha impiegato poco per soffermarsi sui grandi angeli di Vanessa appesi alle pareti. La carta per quanto amata, con quel suo formato preimpostato, è un limite che le va troppo stretto. Così lei sperimenta, ritaglia, incolla, oltrepassa limiti e prosegue là, dove sono la forma e il gesto a volerlo. Appena i suoi angeli iniziano a prender forma sul bidimensionale, chiedono aria, cercano spazio, vogliono librarsi via e lei li asseconda, creando loro la strada.
I loro volti mi attraversano, sento che trasudano un’estasi legata al movimento del loro corpo, spinto in questa ricerca di libertà. Non c’è segno di sforzo fisico, piuttosto si avverte un completo lasciarsi andare, un abbandono dei sensi: non c’è paura del futuro, non c’è dolore nel distacco.
Ciò che mi colpisce è che non riconosco un uomo o una donna, ma semplicemente un essere che vibra.
Si sentono gli studi artistici di Vanessa, la immagino mentre disegnava e studiava il corpo umano: i muscoli, le pose … poi tutto quel realismo fisico credo sia trasceso; c’è stato sicuramente un momento in cui nei chiaro scuro dei muscoli è arrivato l’anelito di vita, quello che ora emerge e spinge le forme.
C’è qualcosa di sacro in quei corpi, in quei volti e non perché rappresentano icone religiose, non perché mi ricordano studi preparatori di madonne seicentesche, ma perché sento che hanno un’anima ed è questa che lei è in grado di mostrare.
È stato poetico trovarsi lì con lei mentre teorizzava le sue attuali ricerche: ascoltare i suoi dubbi, i desideri, ciò che la spinge a sperimentare sulle sue stesse opere. Tagli, colla, ombre, sculture, carta … tanta carta … Lei non ha timore di prendere le sue creazioni e di usarle come materia, in fondo sono vive e chiedono di potersi esprimere, hanno bisogno di crescere e lei è la loro interprete.
Abbiamo parlato di possibili allestimenti, di maestri cui ispirarsi, di materiali, d’idee ma ho capito che nel dialogo tra artista e opera si è solo uditori.
Si sente che per Vanessa il confronto con gli altri è importante e la aiuta a illuminare meglio la strada: parlare ad alta voce in fondo crea il manifesto delle proprie azioni. Ma si avverte fortemente quanto sia lei nel momento creativo, quanto è lei nelle opere, così l’ascoltatore può restituire solo emozioni, non azioni, non giudizi.
Solo ponendosi nell’ascolto si entra in risonanza con l’artista e l’atto creativo. E così o si viene risucchiati o ci si allontana e io da quei volti, che si librano nello spazio, sono decisamente attratta.
Tornerò presto a prendere un tè, perché ascoltarti riflettere è stato un momento di crescita.